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L'Eni dei record adesso segna il passo, rendimento in calo

di Orazio Carabini

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14 MARZO 2008

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Sul comparto Gas & Power Scaroni non ha convinto il mercato. Nel 2007 lanciò forte il messaggio che quel business era sottovalutato perché i suoi margini resistono alle pressioni concorrenziali e quindi meriterebbe che gli venissero applicati i multipli, più favorevoli, delle utilities. Ma l'amministratore delegato non ha avuto successo. Forse avrebbe dovuto scorporare la divisione per farne apprezzare il potenziale.

Altre perplessità circondano il Southstream, un gasdotto che va dalla Russia alla Bulgaria ancora in fase di progettazione. Lungo 900 chilometri, è considerato un'operazione di valenza politica, fatta per ingraziarsi i russi che così possono saltare l'Ucraina. L'appiattimento dell'Eni sui russi, legato all'accordo con Gazprom, non piace agli altri Paesi produttori.

Regole e politica
Come lobbista, Scaroni si è rivelato efficacissimo. In questi tre anni la posizione dominante dell'Eni sul mercato nazionale del gas non è stata scalfita. I tentativi di correggere le distorsioni esistenti sul mercato sono stati respinti. «Scaroni è stato fagocitato dalla cultura dell'Eni», sostiene paradossalmente un esperto di regolazione, ricordando che quando era all'Enel (2002-05) Scaroni era un sostenitore dell'unbundling anche proprietario della rete elettrica, poi confluita in Terna. Si ricordano anche alcune sue dichiarazionia favore di una società delle reti in cui confluissero Terna e Snam Rete Gas, la controllata dell'Eni che gestisce i gasdotti.

E invece da quando è approdato alla società petrolifera Scaroni ha cambiato idea. Ha difeso le posizioni di rendita sul gas del Cane a sei zampe da tutti gli assalti, utilizzando l'argomento tradizionale: «Dobbiamo essere forti per avere potere contrattuale nelle trattative con i Paesi produttori di materie prime». L'Eni continua così a controllare tuttii gasdotti che arrivano dall'estero, la rete interna, la capacità di stoccaggio. Vende a prezzi di mercato il gas che estrae in Italia (14% del totale) e che non costa certo come quello che arriva dalla Russia o dall'Algeria.
Insomma la liberalizzazione del mercato del gas, prevista da una legge del 2000, è più un auspicio che una realtà. Basta fare un confronto con quella del mercato elettrico. L'Enel è stata costretta a vendere la metà della sua capacità produttiva a tre concorrenti, le è stato imposto un tetto del 50% del mercato e ha dovuto cedere anche la rete. L'Eni deve scendere al 61% del mercato del gas entro la fine del 2010, controlla ancora la rete (nonostante la legge prevede che scenda al 20% di Snam Rete Gas) e gli stoccaggi. Tutta l'apertura del mercato si traduce nella cessione ai concorrenti di quantitativi di gas alla frontiera. L'Eni, per la verità, da sempre resiste alla liberalizzazione sostenendo che ne sarebbe indebolita e che i privati non investono abbastanza per fare vera concorrenza. Inoltre si fa schermo della situazione in Francia e in Germania, paragonabile a quella italiana, per tutelare la propria posizione dominante: solo un'Eni forte può trattare con la russa Gazprom, con i Paesi produttori, con le grandi compagnie dell'energia. Non è detto però che nel lungo periodo gli in-teressi della società e dei suoi azionisti (Stato compreso) coincidano con quelli del Paese.

Il consiglio di amministrazione
Scaroni non ha avuto un rapporto facile con il suo Cda che sarà totalmente rinnovato alla prossima assemblea. Che potrebbe svolgersi in due fasi: la prima in aprile per approvare il bilancio e il dividendo, la seconda in giugno per eleggere il nuovo Cda. Di quello attaule fanno parte, oltre all'amministratore delegato, il presidente Roberto Poli, Marco Pinto, Mario Resca e Pierluigi Scibetta, designati dal ministero dell'Economia nel 2005 (governo Berlusconi) insieme a Dario Fruscio, che si è dimesso poche settimane fa. Gli investitori istituzionali hanno invece eletto Alberto Clò, Renzo Costi e Marco Reboa.

Fruscio, esponente della Lega Nord, fu eletto senatore nel 2006 e non lasciò l'incarico di consigliere. Nessuno nel Cda (e per la verità neanche in Parlamento) ha preso pubblicamente posizione contro questa insolita sovrapposizione di ruoli. Poi Fruscio si è inopinantamente dimesso. Qualcuno sostiene che lo ha fatto in polemica per l'esito del negoziato col Governo del Kazakhstan sul giacimento del Kashagan.

Poli nei giorni scorsi ha incontrato Romano Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa, Silvio Berlusconi e Gianni Letta. A tutti ha comunicato che, dopo due man-dati, preferisce non essere riconfermato alla presidenza. Il collegio sindacale, che è presieduto da Paolo Andrea Colombo, sta esaminando circa 200 segnalazioni anonime che riguardano la gestione interna.

Il punto di attrito più forte si è registrato all'inizio del 2008 quando Scaroni ha proposto in Cda l'annullamento delle azioni proprie che l'Eni ha in portafoglio grazie al massiccio piano di buy back degli ultimi anni. Si tratta dell'8% circa del capitale che vale, ai corsi di oggi, intorno ai 7 miliardi. Scaroni voleva fare un'operazione gradita al mercato e all'azionista di maggioranza (il Tesoro) alla fine del suo primo mandato da amministratore delegato. L'annullamento delle azioni proprie avrebbe infatti dato una spinta al titolo grazie all'aumento del dividendo unitario. Con il non trascurabile vantaggio ( per Scaroni) di avvicinare il prezzo dell'azione a quello previsto dal suo piano di stock option. Ma il consiglio gli si è messo di traverso, sostenendo che i benefici per la società non sono apprezzabili, e l'operazione non è passata.

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